Via all’accordo nonostante l’opposizione dell’Agenzia delle Entrate
Per i giudici la protezione dei valori aziendali può prevalere su una rigida applicazione degli interessi fiscali e contributivi, con esplicito riferimento alla salvaguardia della struttura produttiva e, soprattutto, dei posti di lavoro, a prescindere dal soggetto cui poi l’impresa sia riconducibile

Possibile, nonostante l’opposizione dell’Agenzia delle Entrate, il via libera all’accordo di ristrutturazione dei debiti della società in crisi. Questo il paletto fissato dai giudici (sentenza dell’8 novembre 2024 del Tribunale di Cagliari), i quali hanno accolto l’istanza avanzata da una società in liquidazione. In sostanza, è stato omologato, in maniera forzosa, l’accordo di ristrutturazione dei debiti, presentato da una società in crisi, nonostante la netta posizione contraria assunta dall’Agenzia delle Entrate. Applicato, in sostanza, il cosiddetto ‘cram down’ fiscale e previdenziale, che consente di omologare forzosamente un accordo di ristrutturazione dei debiti, pur in assenza di adesione dei creditori pubblici, purché la proposta di soddisfazione sia più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. Proprio ragionando in questa ottica, i giudici hanno preso posizione in moto netto, specificando che la protezione dei valori aziendali può prevalere su una rigida applicazione degli interessi fiscali e contributivi, con esplicito riferimento alla salvaguardia della struttura produttiva e, soprattutto, dei posti di lavoro, a prescindere dal soggetto cui poi l’impresa sia riconducibile. In sostanza, il legislatore ha condizionato il beneficio del cosiddetto “cram down”, anche fiscale, tramite accordi di ristrutturazione dei debiti, all’interesse pubblico di ordine economico e sociale consistente nella salvezza di fattori produttivi operanti sul mercato e del livello occupazionale derivante. Pertanto, secondo i giudici, il requisito di ammissibilità dell’omologa costituito dalla continuità aziendale può essere garantito sia direttamente che indirettamente e, in quest’ultimo caso, sia mediante l’affitto che mediante la cessione dell’azienda in esercizio. E ciò si ricava, secondo i giudici, dal sistema delineato dal ‘Codice della crisi’, in particolare laddove afferma che la continuità aziendale tutela l’interesse dei creditori e preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro. La continuità aziendale può essere diretta, con prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dell’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo. Ne consegue che la previsione dell’affitto, con successiva cessione dell’azienda, è coerente con la condizione di omologazione degli accordi, costituiti appunto dalla continuità aziendale, così escludendosi la natura meramente liquidatoria del piano.