Cacciato l’operato beccato a fare il calciatore pur essendo in malattia

Evidente per i giudici, come già per l’azienda, la gravità del comportamento addebitato al lavoratore

Cacciato l’operato beccato a fare il calciatore pur essendo in malattia

Cacciato l’operaio che fa il calciatore mentre è in malattia. Palese, secondo i giudici (ordinanza numero 23852 del 5 settembre 2024 della Cassazione) la gravità del comportamento addebitato al lavoratore, che ha non solo simulato una malattia ma anche sfruttato l’assenza riconosciutagli per trarre il vantaggio indebito della partecipazione, in orario di lavoro, ad una partita di calcio già programmata, nell’ambito di un campionato regionale, e implicante uno sforzo fisico gravoso. Scenario della vicenda è la Campania. Riflettori puntati sull’attività agonistica portata avanti come calciatore da un dipendente – inquadrato come operaio – di un’azienda operativa nel settore dei trasporti pubblici. In particolare, è una partita disputata nel campionato di ‘Prima Categoria’ della Campania a metterlo nei guai: lui viene beccato in campo, difatti, pur essendo ufficialmente in malattia. Quell’episodio è così grave, secondo l’azienda, da legittimare il licenziamento del lavoratore. E questa visione è condivisa anche, in ultima battuta, dai magistrati di Cassazione, i quali ribadiscono, in generale, che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, può configurare la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buonafede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio. E, in questa ottica, la nozione di malattia rilevante a fini di sospensione della prestazione lavorativa ricomprende le situazioni nelle quali l’infermità abbia determinato, per intrinseca gravità o per incidenza sulle mansioni normalmente svolte dal dipendente, una sua concreta ed attuale, sebbene transitoria, incapacità al lavoro. Per cui, anche là dove la malattia comprometta la possibilità di svolgere quella determinata attività oggetto del rapporto di lavoro, può comunque accadere che le residue capacità psico-fisiche possano consentire al lavoratore altre e diverse attività. Detto ciò, il compimento di altre attività da parte del dipendente assente per malattia non è circostanza disciplinarmente irrilevante, ma può anche giustificare la sanzione del licenziamento, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buonafede e degli specifichi obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, sia nell’ipotesi in cui la diversa attività accertata sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, sia quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore. Necessario, perciò, un accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell’inadempienza idonea a legittimare il licenziamento, sia essa la fraudolenta simulazione della malattia ovvero l’idoneità della diversa attività contestata a pregiudicare il recupero delle normali energie psico-fisiche, accertamento che deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto. Ebbene, nella vicenda oggetto del processo, la condotta addebitata al lavoratore va ritenuta di tipo artificioso, in violazione degli obblighi di lealtà e correttezza, poiché diretta, tramite la simulazione di uno stato fisico incompatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa, non solo all’assenza dal lavoro, ma anche al vantaggio indebito della partecipazione, in orario di lavoro, a ad una partita di calcio già programmata (nell’ambito di campionato regionale), implicante uno sforzo fisico gravoso, chiosano i magistrati di Cassazione.

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