Società fallita dopo la gestione incauta dell’amministratrice: confermato il risarcimento

La Cassazione (ordinanza 28 febbraio 2024, n. 5252) ha confermato la condanna di un’ex amministratrice di società al risarcimento dei danni causati per aver gestito la società in maniera incauta dopo il crollo del capitale sociale, fino alla dichiarazione di fallimento.

Società fallita dopo la gestione incauta dell’amministratrice: confermato il risarcimento

Su iniziativa del curatore fallimentare, l’ex amministratrice è stata condannata a risarcire i danni cagionati alla società causati da una condotta illecita protratta nonostante la perdita del capitale, con continuo aumento delle passività fino al fallimento dichiarato nel 2010.

Il Tribunale accoglieva la domanda e la Corte d’Appello confermava la meritevolezza del criterio dei netti patrimoniali utilizzato in primo grado dal consulente tecnico.

Avverso tale decisione è stato proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione dell’art. 2486 c.c., per l’inapplicabilità (a dire della ricorrente) del testo nella versione introdotta nel 2019 ai casi di responsabilità pendenti al momento della sua entrata in vigore.

Il ricorso risulta infondato. La Corte d’appello aveva infatti chiarito che il Tribunale aveva liquidato i danni condividendo l’accertamento del perito e che la norma asseritamente violata ha carattere processuale ed è quindi applicabile ai giudizi ancora pendenti al momento della sua entrata in vigore, secondo il principio tempus regit actum.

La Corte d’appello ha inoltre sottolineando che la nuova legge, nel modificare l’art. 2486 c.c., non ha innovato o regolato il fatto o l’atto che genera la responsabilità dell’amministratore, ma ha confermato «il contenuto dell’inadempimento degli amministratori che al verificarsi della causa di scioglimento non gestiscano esclusivamente a fini conservativi».

In generale, prima della modifica normativa, la Cassazione aveva già affermato che «nell'azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare nei confronti dell'amministratore e ai fini della liquidazione del danno cagionato da quest'ultimo per aver proseguito l'attività dopo l'avvenuta riduzione per perdite del capitale sociale al di sotto del minimo legale, il giudice “può avvalersi” del criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, “in via equitativa”, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all'incompletezza dei dati contabili, “salvo indicare le ragioni e sempre che sia stato allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato”».

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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