Il tempo tra la timbratura del badge e la presa di servizio va remunerato come orario di lavoro
I giudici danno ragione ad alcune lavoratrici di una compagnia telefonica che contestavano la normativa aziendale secondo cui la retribuzione era calcolata solo per il tempo tra l’accensione e lo spegnimento del pc

La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto di alcune dipendenti di una nota compagnia telefonica alla retribuzione anche per il periodo di tempo intercorso tra la timbratura del badge al tornello all'ingresso dello stabilimento fino al completamento della procedura di log on e, viceversa, dal completamento della procedura di log off fino alla timbratura del badge al tornello di uscita, nonché del tempo occupato per lo spegnimento e l'accensione del computer nella pausa pranzo.
I Giudici di merito avevano infatti riconosciuto la nullità parziale del contratto aziendale di secondo livello che prevedeva, tra l’altro, una clausola secondo cui, ai fini del computo dell'orario di lavoro, doveva tenersi conto solo del tempo compreso tra il log in ed il log off dai pc aziendali.
La società ha impugnato la pronuncia in Cassazione.
Dal punto di vista formale, la Cassazione precisa che la nullità di una clausola del contratto comporta la nullità dell'intero contratto solo se il contenuto di quella clausola non può essere separato. Questo dipende dall’intenzione delle parti e quindi dalla comune volontà dei contraenti e dall'interesse che le stesse parti cercavano di perseguire.
Quindi, chi afferma – come nel nostro caso, la società - che l'intero contratto non è valido deve dimostrare che il resto del contratto dipende da quella precisa clausola nulla. Il giudice non può decidere autonomamente che la nullità parziale si estende all'intero contratto, ma deve basarsi sulla volontà delle parti.
Tornando alla vicenda in esame, la società non ha fornito alcuna prova dell’essenzialità della clausola in oggetto ai fini dell’intero contratto aziendale e dunque il resto del contratto resta valido, anche in considerazione delle esigenze superiori di protezione del lavoratore e della regola dell'inderogabilità in peggio, da parte degli accordi aziendali, rispetto a quanto previsto dalla legge.
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso della società e ricorda che «ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, l'art. 1 […] del d.lgs. n. 66 del 2003 attribuisce un espresso ed alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro; ne consegue che è da considerarsi orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico» (Cass. civ., sez. lav., ord., 28 maggio 2024, n. 14843).