Il fallito ha diritto a trattenere per sé l’occorrente al mantenimento della famiglia

Nel caso in esame, il Tribunale di Vicenza accoglieva parzialmente il reclamo proposto dalla socia fallita per ripercussione del fallimento di una società in nome collettivo e ha determinato nella misura di 950 euro mensili, pari ad un quinto dello stipendio, la somma che la socia dovrà versare alla procedura.

Avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso in Cassazione dalla socia che lamenta la violazione dell’art. 46, comma 1, n. 2 legge fallimentare. Secondo la ricorrente il Tribunale ha errato nel determinare in un quinto dello stipendio mensile l’importo da corrispondere alla procedura fallimentare poiché avrebbe violato i limiti imposti dalla norma con specifico riferimento a quanto occorre per il mantenimento personale del fallito e della sua famiglia.

Infatti, sempre secondo la ricorrente, l’intero stipendio era da escludere dal fallimento.

Il ricorso risulta fondato. La pronuncia impugnata non ha adeguatamente motivato in relazione al rilievo che la fallita deve provvedere al mantenimento di due figli, che lo stipendio del marito non è fisso e che le spese familiari da sostenere sono elevate in relazione all’età dei figli. Inoltre, la ricorrente aveva dedotto che il reddito familiare complessivo era prossimo alla soglia di povertà fissata per un nucleo composto da 4 adulti.

Si tratta di elementi decisivi per stabilire se la ricorrente davvero usufruisse di un reddito mensile maggiore di quello necessario a sopperire ai bisogni propri e della propria famiglia.

Con l’accoglimento del ricorso, la Cassazione annulla il decreto impugnato e rinvia al Tribunale per un nuovo esame (Cass. civ., sez. I, ord., 16 aprile 2024, n. 10173).