Il contenuto sconveniente della memoria difensiva non è sufficiente per mettere alla porta il lavoratore

Il contenuto della memoria difensiva depositata dal lavoratore per resistere in un giudizio instaurato nei suoi confronti dal datore di lavoro non integra una giusta causa che legittimi il suo licenziamento, sebbene tale atto utilizzi espressioni sconvenienti od offensive

Il contenuto sconveniente della memoria difensiva non è sufficiente per mettere alla porta il lavoratore

I giudici precisano quelle espressioni sono comunque soggette a cancellazione e possono dar luogo a risarcimento in favore della datrice di lavoro. Peraltro, si tratta di documento giudiziario riferibile all’esercizio del diritto di difesa, oggetto dell’attività del difensore tecnico, al quale si applica la causa di non punibilità stabilita dal Codice Penale per le offese contenute negli scritti presentati dinanzi all’autorità giudiziaria quando concernano l’oggetto della causa e siano funzionali rispetto alle argomentazioni svolte a sostegno della tesi prospettata o all’accoglimento della domanda proposta. In definitiva, non integra una giusta causa di licenziamento la condotta del lavoratore che attribuisca al proprio datore di lavoro, in uno scritto difensivo, atti o fatti, pur non rispondenti al vero, che riguardino in modo diretto ed immediato l’oggetto della controversia, e ciò quandanche in tale scritto siano riportate espressioni sconvenienti od offensive nei confronti del datore di lavoro. (Sentenza 19621 dell’11 luglio 2023 della Cassazione)

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