Dimissioni firmate sotto minaccia: il lavoratore può riottenere il posto di lavoro
Le dimissioni del lavoratore rassegnate sotto minaccia di licenziamento da parte del datore di lavoro sono annullabili per violenza morale

Un lavoratore ha affermato di essere stato obbligato a dare le dimissioni, scrivendo sotto dettatura e minaccia da parte del datore di lavoro una lettera di licenziamento. L’episodio è stato oggetto di un procedimento penale per il reato di estorsione in concorso (articoli 110 e 629 codice penale), successivamente riclassificato come reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone (articolo 393 codice penale), e infine riqualificato come reato di violenza privata (articolo 610 codice penale).
Il dipendente minacciato ha presentato anche una denuncia civile sostenendo che le dimissioni estorte dovevano essere considerate come un licenziamento nullo, chiedendo quindi il diritto a tutte le retribuzioni non pagate dal giorno dell'estorsione fino alla sentenza definitiva. I giudici di prima istanza non hanno accettato le difese del dipendente e, al contrario, hanno considerato l’atto come una "dichiarazione di dimissioni sotto violenza" soggetta ad annullamento, consentendo solo il risarcimento in termini equi, limitato alla perdita di retribuzione tra le dimissioni e l'inizio di un nuovo impiego (9 mesi nel caso specifico).
Il caso giunge quindi avanti la Corte di Cassazione, chiamata a chiarire se l'estorsione delle dimissioni comporti la nullità o l'annullabilità del negozio giuridico.
Nel caso di specie, viene accertata l'ipotesi di un “reato in contratto”, determinato dal vizio del consenso per effetto di violenza privata su una delle parti del negozio (il lavoratore) con conseguente annullabilità (e non nullità) dell'atto di dimissioni.
Di conseguenza, la qualificazione e quantificazione del risarcimento del danno dovranno essere effettuate sulla base del criterio equitativo, comprendente il periodo di effettiva non occupazione e non, come avrebbe voluto il lavoratore, il ripristino dello status quo ante con diritto a percepire tutte le retribuzioni maturate dal dì delle storte dimissioni sino a quello della pronuncia definitiva (Corte di Cassazione, sentenza n. 9129, 18 marzo 2024).